Resoconto turistico della spedizione scientifica nelle regioni Qinghai e Tibet (Cina)
A cura di C. Cassardo
pagina in costruzione
In questa pagina ho riportato alcune note (corredate da alcune fotografie tra le più significative) relative alle località da noi visitate durante la spedizione scientifica nelle regioni cinesi del Qinghai e del Tibet svoltasi tra giugno e luglio 2001.
Alla spedizione hanno partecipato 4 ricercatori italiani (Dipartimento di Fisica Generale, Università di Torino, e Istituto di Cosmo-Geofisica del CNR di Torino), 4 tedeschi (Max Planck Institute di Amburgo ed Università di Gottingen) ed 11 cinesi (Istituti di Fisica dell'atmosfera di Pechino e Lanzhou). 
Lo scopo scientifico della spedizione, inserita nell'ambito del progetto ITACA (Influence of Tibetan plateau on Asian Climate Anomaly), è stato la programmazione e progettazione di una campagna di misure da svolgersi nei prossimi anni nella provincia di Lhasa al fine di caratterizzare meglio l'insorgenza del monsone sudorientale e di stabilire il contributo dell'evaporazione dalle sorgenti di vapore acqueo dell'altipiano (laghi e fiumi) alle piogge, ed anche l'eventuale influenza negativa sui bilanci idrologici dei laghi esercitata dall'introduzione delle pratiche agricole nelle zone situate in prossimità dei laghi dell'altopiano tibetano. Tale progetto ha come scopo principale e generale il miglioramento della comprensione delle influenze dinamiche, termiche ed idrologiche esercitate dal plateau tibetano sulla circolazione monsonica.
In particolare, gli obbiettivi della spedizione erano: effettuare una ricognizione del territorio circostante il lago Nam Tso (Nam Co in cinese) e di quello che circonda la pianura di Lhasa (attraversata da un grosso fiume che spesso si allarga su tutta la pianura fino a formare una sorta di lago) per selezionare accuratamente i siti in cui posizionare i sensori durante la fase operativa dell'esperimento; esaminare il territorio e la vegetazione esistenti, rendersi conto della circolazione locale nell'imminenza della stagione delle piogge; analizzare qualitativamente la diversità del territorio occupato dalle regioni del Qinghai e del Tibet. Contemporaneamente, durante il viaggio sono stati sfruttati i tempi morti per sviluppare proficue discussioni tra i tre gruppi relative alle modalità di conduzione della fase operativa dell'esperimento.
La spedizione è durata complessivamente 15 giorni, nei quali sono stati raggiunti alcuni degli obbiettivi prefissati, per cui sarà possibile pianificare il progetto nella sua completezza.
La breve rassegna qui esposta non ha assolutamente la pretesa di descrivere analiticamente le zone da noi visitate, ma vuole semplicemente mostrare alcuni tra gli aspetti più interessanti (dal punto di vista paesaggistico, culturale ed anche meteorologico) del nostro viaggio. Le opinioni qui espresse riflettono esclusivamente il pensiero di chi le ha scritte. 
Tutte le foto mostrate in basso (prese da C. Cassardo e R. Forza) sono ingrandibili ticchettando con il mouse sulla foto.

Qui sotto sono raffigurati alcuni degli scienziati Europei che hanno partecipato alla spedizione


 
Prof. Claudio Cassardo
Università di Torino
Dr. Renato Forza
Università di Torino
Dr. Claudio Giraud
ICG-CNR Torino
Prof. Arnaldo Longhetto
Università di Torino
PhD Hans Graf
Max Planck Institute - Amburgo
PhD Andreas Ibron
Università di Gottingen
Dr. Gottfried Kruspe
Max Planck Institute - Amburgo

Il nostro viaggio è iniziato il 18 giugno 2001 con il volo da Pechino a Lanzhou (~1800 m); quindi ci siamo spostati da Lanzhou al lago Nam-Tso (~5200 m) con bus e fuoristrada su strada, passando da Xining, Golmud, Amdo, Nagqu e Damxung; poi dal lago Nam-Tso a Lhasa (~3900 m), sempre con bus e fuoristrada su strada; ed infine siamo tornati da Lhasa a Pechino via Chengdu nuovamente in aereo, il 1° luglio 2001.
Il tratto Lanzhou - Lhasa da noi percorso è riportato in rosso sulla mappa qui sopra. Complessivamente, abbiamo percorso circa 2200 Km su strada, praticamente tutti ad altezze superiori a 3000 m di quota, ad eccezione del primissimo tratto nei pressi di Lanzhou.
 
A PECHINO siamo stati ospiti dell'albergo dell'Accademia delle Scienze. Il quartiere in cui si trova l'Accademia non è ancora stato interessato dal processo di rimodernamento forzato, tipico di quasi tutte le grandi città cinesi, che ci fanno sembrare irriconoscibili le città stesse se ritorniamo nello stesso luogo 5 anni dopo. Di solito, infatti, dapprima vengono rasi al suolo i quartieri vecchi, quindi si costruiscono i quartieri nuovi partendo dal basso (fognature, metrò, fino alle "autostrade", e poi grattacieli a volontà) verso l'alto. A Pechino, ormai, i quartieri "vecchi" sono praticamente isole in mezzo ai grattacieli. Abbiamo quindi potuto vedere, in pieno centro di Pechino, quartieri rurali come quello nella foto. E' impressionante come si entri in questi quartieri semplicemente voltando l'angolo (notare i grattacieli sullo sfondo): l'impressione è quella di essere stati improvvisamente teletrasportati a 50 Km di distanza in aperta campagna. 
A LANZHOU, nei locali dell'Accademia, si è svolto un meeting tra i vari gruppi (italiano, tedesco e quelli cinesi delle diverse istituzioni). Durante tale meeting si è pianificato l'esperimento (di cui il progetto ITACA costituisce la spina dorsale), ed inoltre i responsabili cinesi ci hanno illustrato i dettagli relativi all'imminente spedizione, che è poi iniziata nel pomeriggio stesso.
Dopo il meeting, prima della partenza abbiamo assaggiato la cucina locale. Sia in Cina (ovviamente) che in Tibet abbiamo quasi sempre mangiato in ristoranti tradizionali cinesi, seduti generalmente in 8 per tavolo attorno a tavole rotonde fornite di vetro girevole. Raramente erano disponibili le posate, ma ci siamo aggiustati molto bene. A Lanzhou, oltre ai partecipanti alla spedizione, c'erano anche molti scienziati della sezione locale dell'Accademia. Che dire? mangiando in Cina si scopre che il cibo cinese è molto più ricco e vario di quello che mangiamo nei ristoranti cinesi italiani. Loro dicono che la loro cucina è la prima al mondo come qualità. Io, da italiano, dico che la prima è la nostra! Ma comunque anche la loro non è poi così male.
LANZHOU ha un aspetto di città nel deserto, essendo circondata da una serie di colline e montagne naturalmente brulle, che con un'opera immane i cinesi stanno cercando di riforestare (almeno nei pressi della città) piantando migliaia di pini ed irrigando le montagne. Nonostante l'estrema aridità apparente della superficie, infatti, la zona non è povera di acqua, in quanto a Lanzhou scorre il Fiume Giallo (una rapida occhiata al colore dell'acqua del fiume rende molto comprensibile l'origine del nome, soprattutto dopo le piogge) e presumibilmente le falde acquifere dovute al fiume si estendono su tutta la valle. Il Fiume Giallo a Lanzhou si presenta grossomodo come il Po a Piacenza. Apparentemente non abbiamo riscontrato grosse differenze di temperatura tra Lanzhou (~1800 m) e Pechino, anche se l'atmosfera era notevolmente più secca e meno afosa: anche al mattino presto o a tarda sera faceva molto caldo.
In questa foto si può vedere il quartiere musulmano di Lanzhou, con la torre da cui il locale Muezzin lancia i suoi richiami. 
Da Lanzhou abbiamo iniziato il nostro viaggio diretti verso XINING, nella provincia del Qinghai. Tale provincia si trova su un altopiano a oltre 2000 m di quota, in lieve ascesa verso i 3000 m procedendo verso Ovest. Le strade erano quasi sempre pianeggianti o quasi, ed anche in buone condizioni, ed il percorso scivolava via abbastanza veloce. In quelo momento, pensavo che il viaggio sarebbe stato forse più piacevole di quanto mi risultò poi nei giorni seguenti. In questa foto è raffigurato l'ingresso del monastero buddista Ta-er nei pressi della città cinese di Xining, che abbiamo visitato dopo pranzo prima di proseguire il viaggio.
I monasteri ed i templi buddisti sono in genere composti all'interno del loro perimetro da diversi edifici dedicati ad una particolare personificazione di Buddha. In questa foto si può vedere una delle cappelle all'interno del monastero Ta-er. Tutti i locali sono caratterizzati, al loro interno, da un forte odore di incenso. In Tibet, tale odore è mischiato ad un ancora più intenso odore di burro di Yak fuso, in quanto le candele sono costituite da stoppini infilati in immensi bracieri ricolmi di burro di Yak, che molto lentamente è fuso dalla fiamma. I pellegrini normalmente contribuiscono a riempire questi bracieri con nuovo "combustibile" ed ad accendere nuove "candele".
L'incenso non viene bruciato soltanto all'interno delle varie cappelle nei templi ma anche all'esterno, in particolari "stufe" come quella nella foto, relativa sempre al monastero buddista Ta-er nei pressi della città cinese di Xining. Queste "costruzioni" si possono anche trovare in città, lungo i corsi, come a Lhasa. Ovviamente, come per tutte le altre cose, le prime volte ero molto sorpreso da queste strutture, ma poi ne ho viste così tante che mi ci sono abituato... Il profumo di incenso era diventato quasi una costante nel mio viaggio.
Dopo Xining, è iniziata la vera e propria salita verso il Tibet più alto, lungo l'"autostrada" Qinghai-Lhasa. Autostrada è un termine molto relativo, nel senso che la strada è una semplice carreggiata a due corsie con molte buche e salti ed anche parecchie interruzioni, tanto che è citata in un'antica maledizione cinese: "che tu possa andare da Qinghai a Lhasa per questa strada su un pullman cinese". Da ciò si può capire che la qualità della strada non era granchè, ed inoltre andava peggiorando man mano che procedevamo verso Ovest, pur essendo comunque asfaltata. Contemporaneamente, diminuiva la nostra velocità media e purtroppo il nostro pullmino (IVECO) dava segni preoccupanti: ogni 40-50 Km circa era necessario bagnare i freni anteriori, surriscaldati.
Lungo tale strada, abbiamo trovato molti piccoli villaggi o comunque costruzioni in prossimità del punto più alto dei passi. Il palazzo nella foto, ad esempio, si trova sul passo (~ 3400 m, l'altezza di Plateau Rosà) che, provenendo da Lanzhou, precede l'enorme lago Qinghai.
Il lago Qinghai ha un'estensione immensa: circa 120 Km di lunghezza e 50 Km di larghezza. Nonostante la buona visibilità, in certi punti non era visibile l'altra sponda, e si aveva una strana sensazione di trovarsi al mare (però a circa 3000 m di quota). Data la forte brezza, la "spiaggia" era battura da diverse onde di discreta entità, il che contribuiva all'illusione del mare. L'effetto del lago era inoltre evidentissimo se si osservavano i sistemi nuvolosi locali spinti dal vento di brezza. Avendo noi pernottato nei pressi del lago, abbiamo potuto osservare quasi un intero ciclo di brezza. L'attività cumuliforme, in questa zona, è molto attiva.
Il pernottamento in un albergo sulla costa del lago ci ha permesso di osservare che in questra città, ancora ben distante dalla provincia del Tibet, vivono moltissimi tibetani, come il gruppo nella foto. Tutti ci sono sembrati molto cordiali con noi ed incuriositi dalla nostra presenza.
Spesso alcuni abitanti delle cittadine da noi visitate si fermavano vicino a noi e non avevano paura di essere fotografati (anzi talora erano loro stessi a chiedere di essere fotografati o filmati con la videocamera). Questo ci è capitato praticamente dappertutto. Naturalmente, tutta la comunicazione avveniva a gesti, e se parlavamo ognuno lo faceva nella propria lingua (talora noi parlavamo direttamente in italiano, visto che molti di loro non conoscevano l'inglese e noi di tibetano sapevamo solo dire "tashi dele").
Nella strada tra il Lago QINDHAI e GOLMUD (o Geermu), mai sotto i 3000 m, il paesaggio ha iniziato a cambiare gradualmente e diventare progressivamente di tipo desertico. E' singolare, nelle zone non aride, la continua presenza di vegetazione anche a quote molto alte (oltre 4000 m), e del resto la cosa non sorprende viste le temperature molto alte almeno di giorno. Tale caratteristica ci ha accompagnati lungo tutto il viaggio, tanto che abbiamo sempre avuto l'impressione di trovarci perlomeno 2000 m più in basso rispetto alla quota reale.
Avvicinandosi a GOLMUD (o Geermu), il terreno è diventato sempre più di tipo stepposo, con montagne brulle e scarsa presenza di acqua (i corsi dei fiumi sono secchi e le nubi sono poche e, se presenti, poco spesse e sempre disposte lungo le creste montuose). Non sono mai stato in Marocco, ma penso che il paesaggio non sia molto diverso, soltanto che qui siamo molto più in alto!
Contemporaneamente, i villaggi erano sempre più rari e le coltivazioni occupavano sempre meno territorio, pur essendo comunque sempre presenti anche nelle zone più aride.
Nonostante ci trovassimo ad altitudini sopra i 3000 m, faceva ancora parecchio caldo, il terreno era di colore tendente al giallastro, molto secco e la vegetazione aveva caratteristiche di savana. Anche se queste foto sono leggermente sovraesposte data la luminosità fortissima, i colori sono reali. Non appena ci alzavamo di qualche centinaio di metri o ci avvicinavamo a qualche vetta più alta, immediatamente le nubi si inspessivano diventando piccoli (nel senso di poco spessi) cumulonembi, e comparivano le scie di pioggia, che però interessavano solo le zone montuose. Per ora, comunque, le cime non erano innevate. Più avanti, abbiamo appurato che il livello neve, in questa macrozona ed in questo periodo dell'anno, si assestava intorno ai 5000 m circa.
In questo punto, la vegetazione era praticamente assente ed il terreno era molto secco. Il nostro passaggio a moderata velocità (mai più dei 60 Km/ora comunque) sollevava sempre un po' di polvere. La visibilità era ottima ed il cielo quasi sereno, o in ogni caso privo di nubi "basse". 
Questa estrema diversità di climi, di vegetazione, di tipo di terreno che abbiamo trovato nelle province del Qinghai e del Tibet andrà poi tenuta ben presente quando dovremo eseguire le simulazioni climatiche con i modelli di strato limite e di circolazione atmosferica. Infatti, la risposta del  terreno agli eventi meteorologici (per esempio, le piogge monsoniche) è completamente diversa a seconda delle caratteristiche del terreno stesso (si pensi ad esempio all'infiltrazione ed all'evaporazione), per cui soltanto un'accurata parametrizzazione e rappresentazione del tipo di terreno che abbiamo visto di persona in Tibet ci potrà consentire di ottenere valori accurati e previsioni corrette.
Ogni volta che oltrepassavamo una montagna o collina ed il paesaggio ci appariva aperto, si potevano chiaramente distinguere da 10 a 20 diavoli di sabbia ("dust devils"), la cui vita media variava tra 30 secondi - 1 minuto e 10-15 minuti, e le cui dimensioni variavano tra 1 e 10 m. Non abbiamo notato nessuna corrispondenza tra il mulinello al suolo e la presenza di nubi in alto: i due fenomeni evidentemente non erano correlati. Stranamente (almeno per me: non sono un esperto di clima desertico...), abbiamo osservato questo fenomeno anche nelle zone ombreggiate (coperte da nubi), il che ci ha evidenziato che il terreno surriscaldato non è l'unico elemento che favorisce l'insorgenza di tali fenomeni. Anche in questa occasione, come mi è successo spesso durante questo viaggio, ho potuto osservare con i miei occhi un fenomeno di cui avevo soltanto sentito parlare oppure visto sui libri qualche fotografia.
Le poche volte che osservavamo nubi convettive, quasi sempre in prossimità di vette molto più alte rispetto al livello dell'altopiano, potevamo notare come tali nubi apparivano poco "spesse", almeno se confrontate con quelle che siamo soliti osservare nelle nostre zone (pianura padana, Torino): infatti, qui la loro base parte da 4000-4500 m, un livello tipico delle nubi "medie" (in Tibet "manca" un terzo di tropopausa!!!). Praticamente quasi tutti i sistemi nuvolosi che abbiamo visto (con un'eccezione a Lhasa) hanno presentato un ciclo diurno molto marcato, con la fase più attiva mediamente tra le ore 13 e le ore 16 locali (tutto il Tibet adotta l'ora cinese, che è solare e centrata su Pechino, per cui la giornata tipo in Tibet è "spostata" in avanti di oltre due ore rispetto alla nostra ora italiana torinese).
Verso la fine della parte di altopiano che conduce a GOLMUD (o Geermu), il paesaggio ha assunto caratteristiche del tutto desertiche. E' molto strano in quanto non si tratta di un vero deserto esteso per centinaia di Km, ma di limitate zone desertiche di piccola estensione alternate ad altre più umide o almeno meno secche (spesso a fondovalle ci sono fiumi e laghi). Talora era la strada stessa a separare un'area desertica con molta sabbia alla nostra destra da una distesa più verdeggiante alla nostra sinistra. Le zone sabbiose erano sempre addossate alle montagne, segno che l'aridità di questa zona è fortemente condizionata dalle correnti subsidenti orografiche.
All'improvviso, lungo la strada ci sono apparse delle vere e proprie dune di sabbia (ed eravamo sempre ad oltre 3000 m di altezza!). Dopo averle viste sino ad ora soltanto sui libri, non pensavo proprio di trovarle nella provincia del Qinghai! Abbiamo costretto l'autista del pullman a fermarsi per poter camminare sulla sabbia...
In questo peculiare paesaggio di tipo desertico, in cui abbiamo visto la sabbia e le dune come nel Sahara, non eravamo però preparati a vedere i cammelli come se ci fossimo trovati in un deserto vero. Ed invece, ecco un cammello ad oltre 3000 m di quota, tranquillamente al pascolo... Non ne abbiamo visti tanti quanti gli yak, ma comunque ce n'erano abbastanza. Non siamo invece riusciti a fotografare le antilopi, che abbiamo anche visto in vari punti.
Finalmente ci sono apparse le prime cime innevate. O almeno, questo è quello che ho pensato nel vedere questi splendidi picchi bianchi. In realtà, a partire da questo momento, abbiamo iniziato a salire di brutto e sono iniziati i primi sintomi di mal di montagna (forti mal di testa e mancanza di fiato). Il livello neve, da queste parti, si aggira a quota 5000 m. Verso tali altezze, dopo il tramonto le prime pozzanghere cominciavano a gelare (ma di giorno però faceva sempre abbastanza caldo). Trovandoci ad oltre 4500 m, era normale (ma faceva sempre un certo qual effetto ... ) pensare che ognuna delle cime bianche che ci circondava era molto più alta del M. Bianco! La presenza di cime innevate ha accompagnato il nostro tragitto verso Golmud, città posta a oltre 3000 m, dove abbiamo cambiato il nostro pullman Iveco (il cui fumo che ad ogni sosta usciva dal sistema frenante cominciava veramente a preoccuparci) prendendone uno nuovo (si fa per dire: aveva 240000 Km...) Nissan.
NAGQU si raggiunge dopo aver attraversato due passi rispettivamente a 4800 m e 5200 m circa (tale quota rappresenterà il mio record in questo viaggio). Il passo posto a 5200 m rappresenta il confine naturale della regione del Tibet (che, come i colleghi cinesi ci hanno sempre ricordato, è una regione della Cina) dalla regione del Qinghai. Quando siamo scesi dalle macchine sul passo a 5200 m (c'era un po' di neve attorno a noi, ed anche un'iscrizione in bilingue che ci avvisava - credo - che stavamo entrando nel Tibet), ogni minimo movimento rappresentava uno sforzo estremo, e ci provocava violenti giramenti di testa. Del resto, stavamo circa 400 m più in alto del M. Bianco! La notte successiva, passata in un villaggio a 4800 m circa, è stata la peggiore dal punto di vista del mal di altitudine, tanto che è passato in subordine il fatto di aver sperimentato il dormire in una sorta di rifugio cinese. Se non altro, i bagni erano molto grandi: infatti si estendevano su tutti i campi intorno al rifugio. Comunque, nessuno di noi ha avuto problemi, a parte il giramento di testa... Il mattino dopo, via verso Nagqu.
NAGQU sarebbe una bella cittadina, delle dimensioni grossomodo di Chieri. Dico "sarebbe", perchè in realtà le strade alla sua periferia versano in condizioni disastrose. Infatti, avevano deciso di ricostruirle proprio nei giorni in cui siamo passati noi (e, tra l'altro, le stavano ricostruendo TUTTE!), e siccome era già iniziata la stagione delle piogge (in anticipo: probabilmente un regalo di La Nina per noi!) ed aveva piovuto abbondantemente nei due giorni precedenti il nostro arrivo, le strade erano tutte un mare di fango e pantano che circondavano tutta la città. Nei pochi punti in cui l'acqua era evaporata, ogni camion che passa sollevava enormi nubi di polvere, che spiegano come mai tutte le donne in città portassero delle maschere antipolvere sul viso (gli uomini, invece, non le portavano: non siamo riusciti a capire perchè!). 
Dopo una notte tutto sommato tranquilla, abbiamo impiegato circa 4 ore a percorrere circa 3 Km per uscire da Nagqu. Un'ora circa perchè incolonnati in una fila quasi immobile, infinita e caotica, composta prevalentemente da camion. Immobile perchè, nella colonna, ogni tanto qualche camion si impantanava e bloccava tutta la colonna. Altre tre ore circa perchè, nel tentare di evitare la coda prendendo una "strada" alternativa, ci è capitato l'inconveniente che si vede nella foto (il pullman raffigurato era il nostro...). Comunque, se non altro, l'accaduto ci ha permesso di dare un'occhiata da vicino alla popolazione locale. Già, perchè noi eravamo di passaggio, mentre invece i Tibetani lì ci vivevano. 
Dopo una mezzoretta circa, è arrivata in nostro "soccorso" una pattuglia di persone, tutti allegri, sorridenti e felici, composta per lo più da donne e bambini armati di palettine, che hanno leggermente (ed inutilmente) allargato la buca. E' stato interessante osservare il loro comportamento e quello degli autisti. Tutti calmi ed impassibili, mai allarmati, mai inquieti, sempre sorridenti, come se il dover vivere in una città praticamente immersa nel fango non li preoccupasse o disturbasse più di tanto. Per la cronaca, dopo circa tre ore e mezza (noi pensavamo di dover far ritorno all'albergo portandoci le valige a mano), l'autista di un camion militare, forse impietosito, ha trainato il nostro pullmino sulla strada giusta (e poi si parla male dei militari...), e meno male se no saremmo ancora lì adesso...
Questo bimbo faceva parte della "spedizione di soccorso" che si è avvicinata al nostro pullman... 
Poco dopo essere usciti da Nagqu, eccoci di nuovo fermi in un'altra lunga coda. Un'altra occasione per conoscere un po' di gente del luogo, incuriosita dalle nostre telecamere. Successivamente, abbiamo appurato che la coda era dovuta ad un bruttissimo scontro frontale tra due camion alcuni metri più avanti, che erano rimasti incastrati tra loro. Dopo una mezzoretta, finalmente la coda ha iniziato a districarsi, e faticosamente ci siamo mossi...
Ma con nostro orrore abbiamo visto che pochi metri davanti il ponte sul fiume non c'era più! In Tibet, la strada normalmente è unica, per cui o si guada o si torna indietro. Osservando i camion che guadavano il fiume, ho stimato in circa mezzo metro la profondità dell'acqua nel guado. Le nubi nere all'orizzonte non facevano pensare che il livello dell'acqua avrebbe potuto abbassarsi di lì a breve. Sperando di non rimanere dentro il fiume come il camion nella foto, ho chiuso gli occhi e quando li ho riaperti, eravamo passati. Più avanti, abbiamo trovato un altro ponte rotto ed abbiamo guadato un altro fiume, ma con minori preoccupazioni. Avevamo infatti scoperto, con piacere, che il nostro pullmino Nissan era insospettabilmente in grado di guadare benissimo i fiumi...
Dai 4000 in su (cioè da Nagqu in poi), il paesaggio ha cominciato a riempirsi, oltre che di mucche e pecore (e cani, cosa strana in Cina, dove a Pechino ne ho visto uno solo in sette giorni...), anche di YAK, animale di dimensioni simili ad un toro ma mansueto come un bue (forse per lo stesso motivo?) e dal pelo lunghissimo. Probabilmente quelli che abbiamo visto erano incroci tra yak e buoi, perchè le guide parlano di bestioni enormi, mentre quelli che abbiamo visto erano grossi come buoi. Dopo le prime foto dettate dalla curiosità, ne abbiamo visti così tanti che ci è passata la voglia di fotografarli... In compenso, in Tibet abbiamo avuto occasione di assaggiarne la carne, che è buona. Lo Yak produce pertanto carne, latte e si usa anche il suo grasso (e probabilmente anche la pelliccia): dal punto di vista energetico, ha un rendimento altissimo. Ce ne sono tantissimi, in Tibet. I Tibetani ne distinguono la proprietà appiccicando al loro pelo dei pezzi di stoffa colorata.
Questa è DAMXUNG, indicata come città sulla mappa. In realtà, è un paesello esteso lungo la strada (lungo 3-4 Km e largo 20 m) e, come tutti i rari paesi incontrati in questa zona, costellato di ristoranti, ricoveri, gommisti e meccanici. Osservando le condizioni igieniche dei posti, il mio appetito non era molto stimolato. Eppure quando vedevo arrivare i piatti ripieni di vivande, la fame arrivava immediatamente e siccome il cibo era quasi sempre veramente ottimo (non tutti i miei colleghi erano però della stessa idea...) ho quasi sempre mangiato abbondantemente. Ciò nonostante, ho perso 8 Kg durante il viaggio. Mangiare fino a sentirsi sazi e dimagrire, mi è sembrato quasi un miracolo!
La popolazione tibetana di Damxumg, come negli altri villaggi, è stata sempre molto incuriosita da noi (i visitatori non cinesi debbono essere non molto frequenti su questa strada coperta dalla maledizione cinese...) ma comunque tutti sono sempre stati molto cordiali, specialmente se li si salutava alla tibetana dicendo "Tashi dele", che significa "buongiorno" ma anche "buona fortuna". Gli uomini tibetani portano in genere capelli lunghi arrotolati sulla testa e tenuti insieme da un drappo di colore rosso, ed apparentemente sono più decorati delle donne. Molti usano anche portare un grosso pugnale alla cintola, ma la cosa non ci ha mai impressionati più di tanto. Durante tutto il nostro viaggio, anche quando ci siamo avventurati nei paesi o nei quartieri tibetani, abbiamo sempre avvertito curiosità ma mai ostilità nè paura.
Da DAMXUNG è possibile salire verso il Lago Nam Tso (in tibetano, o Nam Co, in cinese) lungo una stradina in 3-4 ore. Il lago si trova a 5200 m circa, ed è situato in una valle più lunga che larga che condiziona la forma stessa del lago (lungo 70 Km e largo 30 Km circa). La valle ed il lago sono circondati da due catene di montagne le cui vette più alte superano i 7000 m, ricoperte da immensi ghiacciai. La vegetazione intorno al lago è costituita da erba (che rappresenta la vegetazione originaria) ma anche da estesi tratti coltivati (cosa che sembra inconcepibile vista l'altitudine, eppure ci sono), che sono possibili imputati del fatto che la superficie del lago si sta gradualmente riducendo proprio a partire dall'introduzione delle pratiche agricole. Proprio questo sarà uno degli argomenti che vorremmo verificare o almeno indagare nel corso del progetto ITACA.
Da Damxung il viaggio verso LHASA si potrebbe effettuare percorrendo una comoda strada quasi pianeggiante (durata 3 ore), ma siccome tale strada è attualmente in costruzione e poco percorribile soprattutto dal nostro pullmino, il nostro viaggio si è svolto attraverso una specie di mulattiera sterrata (durata 8 ore, con velocità media di 30-40 Km/ora, e che comunque ci ha svelato paesaggi bellissimi come quello nella foto), che si è inerpicata ad oltre 5000 m per poi scendere nella piana di Lhasa, a circa 4000 m. Nonostante le altezze proibitive, non abbiamo mai smesso di notare estesi tratti coltivati, addirittura piantagioni di riso...
Dopo 8 ore di viaggio massacrante, siamo finalmente sbucati nella piana di Lhasa, un'enorme valle lunghissima (oltre 100 Km) e larga qualche Km, al cui centro scorre il principale affluente del fiume Brahmaputra che talora si allarga a formare quasi un lago occupando praticamente tutto il fondovalle. Anche questa sorgente di umidità sarà indagata nel corso dei nostri studi come sorgente potenziale per le piogge monsoniche.
Al centro della città di LHASA si estende una vasta piazza che evidenzia il palazzo del Potala, che era la residenza governativa del Dalai Lama quando in passato il Dalai Lama risiedeva in Tibet e governava il Tibet stesso. Anche se non si riesce a vedere distintamente, i giardini al centro della piazza sono pieni di fiori: rose, viole, bocche di leone (a 3900 m...), e le pendici delle montagne sono tutte coperte da alberi.
Il palazzo del Potala ha un colpo d'occhio affascinante ed è edificato sopra una collinetta che gli conferisce un aspetto prominente, quasi come se fosse edificato al di sopra di tutto. Le foto che ritraggono soltanto il palazzo, come questa, contribuiscono a rafforzare questa immagine. In realtà, il palazzo si trova al centro della città di Lhasa ed è circondato dalle case della città stessa. Con nostro grande rammarico, abbiamo appurato che di notte non è illuminato. La piazza del Potala rappresenta una sorta di confine tra la parte occidentale della città, moderna e cinese, e quella orientale, più antica ed abitata dai tibetani, in cui è ancora possibile trovare qualche edificio caratteristico.
Il tempio del Barkore costituisce il fulcro dell'attività spirituale della città di Lhasa. Attorno a tale tempio vi è il circuito lungo il quale camminano (rigorosamente in senso orario come consuetudine buddhista) le centinaia di pellegrini che si recano a visitare il tempio ed a pregare. Lungo il circuito vi è poi il mercato, in cui tibetani e cinesi (insieme!) vendono di tutto.
Il mercato è formato da una serie di bancarelle disposte lungo il percorso del Barkore (che circonda l'omonimo tempio) e da una serie ininterrotta di negozietti che sono quasi nascosti dalle bancarelle. Passeggiando lungo questa via, si possono notare moltissimi tibetani tra i pellegrini, tra i clienti ed anche tra i venditori. In queste bancarelle si può trovare tutta la paccottiglia possibile immaginabile, mentre nei negozietti la qualità è maggiore. Ovviamente vige in maniera assoluta la legge della contrattazione (l'esperienza ci ha dimostrato che si può scendere di un fattore 3-5 rispetto al prezzo offerto in prima istanza), e quando loro notavano le nostre facce occidentali subito si scatenavano a salutarci dicendoci "Hallò" (talora rispondevamo dicendo "ciao" anche per insegnare loro un modo alternativo di salutare) e facendo chiari gesti di invito.
Nelle vie interne di Lhasa, nei pressi del mercato, si può osservare lo stile caratteristico delle costruzioni cittadine tibetane (un esempio è riportato nella foto qui a fianco), nettamente diverso da quello delle abitazioni cinesi. Una delle caratteristiche più notevoli che abbiamo trovato in Tibet, per quanto riguarda le decorazioni, è l'utilizzo di colori a tinte molto accese, come giallo, verde, rosso e blu (soprattutto tantissimo blu), e l'abbinamento di tali colori, inusuale o raro da noi.
Lhasa, vista dalla sommità del palazzo Potala, ha un'estensione enorme. Questa fotografia corregge parzialmente l'impressione (errata), data dalle cartoline e da molte fotografie scattate dal basso, che il palazzo Potala si trovi in mezzo al nulla. In realtà, infatti, tale palazzo si trova al centro di Lhasa, come si può vedere bene da questa fotografia. Le abitazioni subito sotto il palazzo, piccole costruzioni povere, ad un piano ed abitate dai monaci o comunque dai tibetani, non sono visibili dalla piazza perchè coperte dal muro che sorge attorno al palazzo.



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